BALDO PASQUALINA

Morozzo, CN - ITALIA

Cappone arrosto tartufato dell’Artusi

L’incontro raffinato ed esclusivo di due eccellenze

Dosi per: 4 persone
Tempo Richiesto: 30 min
PREPARAZIONE
La cucina è estrosa, dicono i fiorentini, e sta bene perchà© tutte le pietanze si possono condizionare in vari modi secondo l’estro di chi le manipola; ma modificandole a piacere non si deve però mai perder di vista il semplice, il delicato e il sapore gradevole, quindi tutta la questione sta nel buon gusto di chi le prepara.
Io nell’eseguire questo piatto costoso ho cercato di attenermi ai precetti suddetti, lasciando la cura ad altri d’indicare un modo migliore.
Ammesso che un cappone col solo busto, cioè vuoto, senza il collo e le zampe, ucciso il giorno innanzi, sia del peso di grammi 800 circa, lo riempirei nella maniera seguente:
Tartufi, neri o bianchi che siano poco importa, purchà© odorosi, grammi 250.
Burro, grammi 80.
Marsala, cucchiaiate n. 5.
I tartufi, che terrete grossi come le noci, sbucciateli leggermente e la buccia gettatela cosଠcruda dentro al cappone; anche qualche fettina di tartufo crudo si può inserire sotto la pelle.
Mettete il burro al fuoco e quando è sciolto buttateci i tartufi con la marsala, sale e pepe per condimento e, a fuoco ardente, fateli bollire per due soli minuti rimuovendoli sempre.
Levati dalla cazzaruola, lasciateli diacciare finchà© l’unto sia rappreso e poi versate il tutto nel cappone, per cucirlo tanto nella parte inferiore che nell’anteriore dove è stato levato il collo.
Serbatelo in luogo fresco per cuocerlo dopo 24 ore dandogli cosଠtre giorni di frollatura.
Se si trattasse di un fagiano o di un tacchino regolatevi in proporzione.
Questi, d’inverno, è bene conservarli ripieni tre o quattro giorni prima di cuocerli, anzi pel fagiano bisogna aspettare i primi accenni della putrefazione, chà© allora la carne acquista quel profumo speciale che la distingue.
Per la cottura avvolgeteli in un foglio e trattateli come la gallina di Faraone n. 546.
[Gallina di Faraona, ricetta n. 546
Questo gallinaceo originario della Numidia, quindi erroneamente chiamato Gallina d’India, era presso gli antichi il simbolo dell’amor fraterno. Meleagro, re di Calidone, essendo venuto a morte, le sorelle lo piansero tanto che furono da Diana trasformate in galline di Faraone.
La Numida meleagris, che è la specie domestica, mezza selvatica ancora, forastica ed irrequieta, partecipa della pernice sia nei costumi che nel gusto della carne saporita e delicata.
Povere bestie, tanto belline! Si usa farle morire scannate, o, come alcuni vogliono, annegate nell’acqua tenendovele sommerse a forza; crudeltà   questa, come tante altre inventate dalla ghiottoneria dell’uomo.
La carne di questo volatile ha bisogno di molta frollatura e, nell’inverno, può conservarsi pieno per cinque o sei giorni almeno.
Il modo migliore di cucinare le galline di Faraone è arrosto allo spiede.
Ponete loro nell’interno una pallottola di burro impastata nel sale, steccate il petto con lardone ed involtatele in un foglio spalmato di burro diaccio spolverizzato di sale, che poi leverete a due terzi di cottura per finire di cuocerle e di colorirle al fuoco, ungendole coll’olio e salandole ancora.
Al modo istesso può cucinarsi un tacchinotto.] (ricetta tratta da Ricettemania)